A N. piaceva la birra. E si credeva un
personaggio stereotipato. Anzi, si percepiva come uscito proprio
dall'album dei luoghi comuni. D'altronde, come gli rammentava il
figlioletto, le verità “date sotto forma di luogo comune sono
molto più profonde e difficili di quello che sembrano”. Non erano,
certo, parole sue, ma del suo guru letterario, David Foster Wallace.
Il nome lo aveva ben impresso in mente. Non foss'altro che la sua
foto troneggiava sopra la scarna libreria di casa. Comunista negli
anni Sessanta, movimentista nei Settanta, edonista negli Ottanta,
giocatore in Borsa nei Novanta, squattrinato nei Duemila. Più
stereotipato di questo si muore, pensava.
Stereotipato nell'accumulare capitali,
stereotipato nel perderli con la fine della bolla finanziaria di
internet, stereotipato nell'essere abbandonato dalla moglie,
stereotipato nel trovare come unico lavoro quello di spazzino
dell'Amsa, Milano, Italia, Europa.
Stereotipato come quella via, via
Padova, Milano, Italia, Europa. Un luogo comune lunga 4 chilometri. A
N. interessava poco della gente di via Padova. Doveva guidare il suo
furgoncino, lui. Cambiare i sacchetti di plastica, lui. Svuotare
quelli pieni, lui. Una noia di lavoro lunga 4 chilometri, quella.
Turno di notte, per N. Non si ricordava
più se per sua scelta o meno. Ci si era trovato, a lavorare con il
buio, e ci si era abituato, scrollando le spalle come spesso si
trovava a fare, senza mai sbuffare o comunicare con il corpo rabbia o
sconforto. Una scrollata di spalle e via.
Al bar/emporio/supermarket del
peruviano N. non rammenta niente di particolare prima di quello che
successe. I soliti briachi, il solito innocente, innocuo,
anticapitalistico brusio fra reietti con in mano lattine di birra
troppo piccole per la loro sete, troppo grandi per le loro ambizioni.
N. lo prese dritto sul volto, il colpo.
Senza un perché, uno stereotipato, sensato, razionale, qualsiasi
perché. E il sangue... Oh sangue.
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